lunedì 7 novembre 2016

Credere o no

Se pensiamo al nostro sapere, intendo: al sapere che ciascuno di noi ha con sé, inevitabilmente pensiamo a una cosa che, per grande e ben strutturata che sia, è sempre piccola se paragonata alla massa del sapere che esiste al mondo, e su questo chiunque può essere d'accordo perché anche il più grande esperto di una materia non sa nulla di altre, altrettanto complesse e importanti.
Ma lasciatemi immaginare una cosa: se anche riuscissimo a sintetizzare tutto il sapere dell'uomo in un solo insieme, sarebbe ben poca cosa rispetto a tutto quello che ancora c'è da sapere. Allora, se immaginiamo il nostro sapere come una specie di isola, la possiamo pensare sostenuta a galla nel mare magnum del mistero. E chi non vorrebbe farci un bagno eterno?

giovedì 29 settembre 2016

Non so

Chi infrange i traguardi spesso non teme la prima volta e frasi come "non si può" non ci sono nel suo vocabolario, non gli appartengono. 
Costui, invece, accompagna spesso la sua vita con altre due parole, "non so", due parole piccole, ma che sanno estendere la vita in territori mai visti prima, che però erano lì ad aspettarci.
Se Einstein non si fosse detto "non so", sarebbe rimasto forse il solito allievo distratto, e se Beethoven non se lo fosse detto forse sarebbe morto da semplice uomo affetto da sordità. Ma la storia del pensiero, e dei suoi avanzamenti che, faticosamente e spesso contro i bastioni della convenienza, vengono nonostante tutto portati avanti da certi uomini e donne, non sarebbe mai stata quella che è senza persone capaci di saltare gli ostacoli.
Ma questo può generare confusione, e spesso anche superbia; "nulla di nuovo sotto il sole" ha scritto l'Ecclesiaste, il massimo poeta biblico, autore di un lamento tra i più profondi sull'agire umano. Ma egli stesso era il nuovo sotto il sole, era una cosa diversa, come diverse sono tutte le cose che vengono fatte per la prima volta.
Chi, con dedizione e anche con coraggio, si rivolge a nuovi orizzonti, chi accarezza un'idea come si accarezza il sogno o la favola deve essere una persona che non ha timore di esporsi e di fare qualcosa di nuovo sotto il sole, perché per questo vale la pena vivere.

giovedì 4 agosto 2016

Umanesimo in economia

Mi piacerebbe avere in mano una bacchetta magica che funziona, ma mi occupo, dallo scranno più o meno elevati della mia professione, di teoria politica, e lo faccio nella città di Trieste che ho eletto tanti anni fa – e adesso anche vivendoci – come locus animi, il che vale a dire come nuova Patria dell’anima, e voi tutti capite se parlando dell’anima vi dico che essa non può esistere se non nel libero scambio tra gli uomini.
Non faccio politica attiva per migliorare la vita quotidiana della città – o del nostro paese, l’Italia - o per dare un futuro migliore ai nostri figli, e sapete perché? Perché non ne sono capace, specialmente da solo.
I grandi cambiamenti sociali ed economici che ci coinvolgono tutti ci hanno suggerito che dalle grandi difficoltà o si esce completamente trasformati, o non se ne esce affatto, e non credo che nessuno di noi voglia veramente questo.
Il motivo di base del mio lavoro è quello di riconoscere e anche diffondere in economia, finanza e mercati quell'umanesimo che proviene dalla cultura e che altro non è se non libero scambio di idee e di fatti. Per sconfiggere l'indifferenza. Sì, proprio quell'indifferenza che nasce o dalla mancanza di comprensione delle cose oppure dall'ignoranza - nel senso che non ci se ne occupa - di quelle stesse cose.
Non è più tempo di politiche del “fare” o del fantomatico “cambiamento” e di chi parla sempre e solo di diritti.
L'idea di base è che nulla deve essere cambiato, ma che tutto debba essere migliorato per farlo funzionare come si deve. Ci concentriamo sul comprendere le cose e i loro effetti, quindi una politica del capire che inevitabilmente diventa un movimento non più solo dei diritti – sacrosanti quando non colpevoli di falsità – ma finalmente dei doveri. Ognuno a casa sua.
Conviene a voi quindi darmi retta? Solo l’uomo è capace di provare la fede, la ragione e la speranza, spesso espressa oltre ogni misura; questo è detto bene dalla poetessa polacca Wislawa Szimborska, Premio Nobel, la quale in una sua poesia diceva che l’orca ha un cuore che pesa cento chili ma che non può usarlo per natura, e ne è contenta, al di là della sua semplice funzione fisiologica. Quindi un cervo autocritico o una gallina buddista non si danno, ma nemmeno un politico oggi degno di questo nome, visto che la politica – di cui tutti abbiamo bisogno – oggi è diventata un lavoro. Io un lavoro ce l’ho già, e posso fare teoria politica perché non ho niente da nascondere, neanche le mie incapacità, visto che ve le sto spiegando.
Ne vale la pena?
La nostra vita tra le persone è una tensione tra risonanze concettuali, echi di memorie, sentimenti, colori e percorsi di luce e di buio.
L’uomo, l’economia e la politica oggi interferiscono senza controllo; questa loro interferenza produce veri disastri, dove “disastro” significa “pioggia di stelle”, ma in questo caso si tratta di una pioggia acida.
Le origini del malvivere di oggi – come tutto da noi in Europa – deriva dal contrasto tra il pensiero greco e il Cristianesimo e si estende al comportamento dell’uomo in mezzo agli altri. Vince chi arriva prima, ma se questo è vero in una gara, non lo è mai in una società, dove tutti hanno lo stesso peso – o dovrebbero – e chi perde muore.
Il nostro futuro, che fino ad oggi ci siamo rubati a vicenda, non funziona più perché non stiamo capendo che stiamo commettendo un delitto verso le generazioni più giovani.
L’obbiettivo che le classi “colte” della nuova società di oggi si propongono – riuscendoci - è normalizzare ciò che per secoli la coscienza comune ha considerato eccezionale o addirittura inaccettabile, portando ad abbandonare i concetti di limite e di misura; chi segue queste cose proverà l’ebbrezza di sentirsi dalla parte del Bene e del Giusto e quindi non darà disturbo ai fautori di Nuovi Ordini e dei Nuovi Uomini, disposti a fare di tutto pur di raggiungere lo scopo.
In questo spettacolo di disgregazione vengono meno anche i codici di riconoscimento reciproco tra le persone e il loro valore, perdono significato i concetti di popolo e di nazione, incalzati dallo spettro di un’umanità omogenea e indistinta, ma liberale, consumista, multietnica e di fatto avviata al monoculturalismo occidentale.
C’è ancora chi si scandalizza, io per esempio. E lo faccio in pubblico, perché non ho paura di essere segnalato alla “polizia” del pensiero che ci dice cosa dobbiamo pensare e perché.
Certo, c’è chi reagisce, non potendone più.
Ma tutti esprimono il loro disagio esclusivamente nella forma del rifiuto, dell’astensione, del distacco. Il loro modo di dire no all’andazzo corrente è il silenzio, il “non ci sto” che però non sente nessuno perché non viene mai detto.
Il “politicamente corretto” che con i mezzi più vari, inclusa la violenza, si sforza di impedire alle opinioni altrui qualunque espressione, ci fa apparire spontaneo il giudicare eccessivo il prezzo da pagare per esporsi, anche perché o siamo tutti indebitati o schiavi della finanza, la sorella perfida dell’economia.
La dissidenza silenziosa è sbagliata perché si finisce che non lo sa nessuno e con il mettere in circolazione un veleno pericolosissimo, che ha già raggiunto ampie zone delle nostre società: la rassegnazione.
Insisto nel mio dissenso, che è anche la proposta: comprensione e spazio ai doveri.
Senza rendercene conto, stiamo aderendo come non conformisti e liberi pensatori a un conformismo di benpensanti che alla fine ucciderà noi e il nostro futuro.
La rassegnazione a fenomeni come l’immigrazione di massa, la disgregazione del concetto tradizionale di famiglia, la pretesa di far scomparire idee come quelle di sesso e di etnia, nella direzione di un accomodamento continuo per compiacere il Grande Manovratore, che è la logica del tempo presente, che tutti sperano porti ad una vita meno faticosa e dolorosa.
Questo non elimina il male e il disagio, ma li nutre.
Le coscienze provano commozione e compassione, giudicando male chi pensa che il cambiamento passi attraverso i sacrifici, pensando che qualcuno, comunque, alla fine ci penserà e rimedierà. Vedendo arrivare il proprio turno, l’Europa è destinata a far fronte a una forte crescita di conflittualità sociale e di ingiustizie, e il lavoro non serve più a produrre ma a difendere la ricchezza già prodotta, perché l’Occidente ha i giorni contati e le vittime saranno molte, dato che già ci sono.
Quello che faccio è la promozione di idee, progetti e soluzioni su un livello metapolitico. La conquista di una nuova e bella mentalità, attraverso la riflessione e la conoscenza, mi farà vincere o perdere una battaglia, ma il giorno in cui almeno una persona si scuoterà dal torpore, imparerà ad ignorare le lusinghe dei teorici dell’inevitabile accettazione dello stato presente delle cose e si scuoterà di dosso la rassegnazione, mi farà vincere la guerra.
“Nessuno ci crede più, ormai”, si sente dire da più parti. Io sì.

mercoledì 11 maggio 2016

Dove va l'economia di oggi?

Come filosofo dell’economia ho scritto, tra gli altri, il volume Economia e Indifferenza in cui si analizza senza la storia dell’Occidente spiegando le ragioni profonde delle nostre scelte culturali e quindi anche delle scelte economiche, il cui portato spiega la situazione di oggi da un punto di vista decisamente differente.
E’ tragicamente sbagliato pensare che l’economia sia una serie di espressioni numeriche che portano ad una sintesi più ordinata delle cose del mondo; non nel senso che questo non sia vero, ma perchè certi modi di pensare che ormai ci appartengono provengono dal modo di pensare cristiano.
L’Occidente è nato poco più di 2500 anni fa e si basa su due pilastri: il pensiero greco e il pensiero cristiano, dove il secondo ha imposto la sua influenza.
Oggi noi abbiamo la caratteristica di disporre grazie ai greci del pensiero astratto, e cioè di quel pensiero che procede per costrutti della mente astraendo dal mondo sensibile, perché i corpi cambiano e non sono fonti di verità. Da questa cultura astratta è nato l’Occidente.

Il modo di pensare di oggi, quello che imposta anche tutta l’economia e quindi lo sviluppo dei paesi moderni, è “tripartito”, nel senso che i greci avevano la vita e la morte, il bianco e il nero, mentre i cristiani hanno la terza opzione, il grigio, quindi c’è la vita, la morte ma anche la speranza.  
Questo modo di vedere le cose è oggi presente dappertutto.  
Nella cultura occidentale Dio è sempre stato tra noi. Se guardate al Medioevo, epoca in cui esistevano inferno, paradiso e in cui nacque anche il concetto di purgatorio, Dio esisteva, anzi: se provate a togliere la parola “Dio” dal Medioevo non capite più nulla, ma se la togliete dai tempi di oggi, li capite lo stesso. Provate a togliere ai tempi di oggi la parola “denaro”, li capite lo stesso? La risposta è no.
Il denaro è il generatore simbolico di ogni valore perché mi dice solo che cosa è utile. Il denaro, diceva Aristotele, non può produrre ricchezza perché non è un bene, è solo il simbolo di un bene.  
Il denaro è diventato il problema.  Si parla di crescita, ma oggi l’economia confligge radicalmente con il mondo della vita. Ogni volta che non c’è la crescita c’è un allarme generalizzato. Il capitalismo ci prevede solo come produttori e come consumatori. Alla politica spetta il luogo della decisione; oggi invece assistiamo a una politica che non prende più decisioni perché guarda all’economia. Nessun governo decide più se non ha sentito l’opinione dell’economia e della sua sorella più furba, la finanza.
Le idee non sono importanti per il loro significato ma per il loro effetto storico e purtroppo per vederlo ci vogliono generazioni di uomini. La storia d’Italia da dopo il 1945 ha assistito alla rapida crescita della ricchezza media che si accompagnava ad un aumento del benessere medio. Adesso è tutto finito. A livello planetario il mondo è andato avanti e decine di milioni di persone sono uscite dalla povertà. Ed è cresciuta la disuguaglianza.
In realtà, la crisi è stata prodotta dal crollo dei valori dell'uomo, ridotto a strumento del ciclo economico, con l'affermazione inequivocabile della totale autonomia morale dell'economia.

Da troppo tempo il valore di un uomo è legato a quanto può produrre e guadagnare, consumare e spendere. E a null'altro. Questo modello capitalistico si è dimostrato inconsistente e dannoso, producendo una utopia economica che ha provocato degenerazioni. Tutto vero. Eppure in Italia c’è dell’altro; mancano denari e manca liquidità, ma questa è solo la cosiddetta punto dell’iceberg; in Italia manca ben altro. Le carenze infrastrutturali sono purtroppo prima di tutto mentali, e impediscono spesso ai più giovani di pensare, e questo è il terreno più pericoloso in cui avventurarsi, perché uccidere lentamente il nostro futuro è un crimine contro l’umanità ed è il male, quello vero. L’indifferenza dovrebbe essere un reato. E’ il vero male di oggi.

venerdì 25 marzo 2016

Sposarsi con un veneto

Riprendo da Cosmopolitan.it di Nicolò Zuliani...
10 cose da sapere prima di uscire con un veneto
1. Beve. Crederai di essere uscita con un alcolizzato, poi di essere finita in un locale di alcolizzati, poi capirai che tutta la regione è così. Con l'avvento dei controlli, sui muri del veneto è apparsa la scritta "i vostri etilometri non placheranno la nostra sete". Qui gli animali domestici si chiamano Rum, Gin, Fernet, Spritz eccetera. Digli che sei astemia e hai la patente: ti inviterà a cena tutti i giorni.
2. Non diventerà mai vegetariano. Ai bambini veneti danno omogeneizzati di soppressa, merendine al branzino e succo di fagiano, quindi una cena con lui è l'equivalente di un disastro ambientale. Non dirgli che mangi hamburger di soia o cibi senza glutine, in veneto quelle cose sono guardate con un misto di diffidenza e orrore. Da noi il progresso arriva lento. Quando arriva.
3. È romantico come una motozappa. Ci si impegna, ma il veneto è di indole pragmatica. Gli parli di stelle? Lui guarderà il cielo e imprecherà uso camionista, perché se piove non si può andare in camporella. È tipo un Urukai con l'anima di un Hobbit. Non sperare in serenate e sguardi languidi. Un veneto è diretto. Tieni collana sbriluccicosa. Tieni cibo. Togli mutande.
4. Aggiusta. Un veneto non chiama l'idraulico nemmeno se il letto sta galleggiando in mezzo al salotto. Discende da contadini grossi come armadi che prima insegnavano ai figli come costruire una libreria, poi (eventualmente) a leggere. Per convincerlo a salire da te basta dire che hai un tavolo malmesso o una mensola cascante. Sfoggia la biancheria sexy solo dopo che ha finito di sistemarli, però. Abbiamo le nostre priorità.
5. È un animale da sagra. Un veneto puoi portarlo in discoteca, nei pub o nei locali più chic, ma il suo cuore batte solo davanti a un piatto di plastica, tra fumo di griglia e cori alpini. Che sia tra le rocce delle Dolomiti o nel fangoso cuore della palude, se ti porta a una sagra è segno inequivocabile che con te fa sul serio. Non dimenticare l'antizanzare.
6. Viaggia poco. Ai veneti piace muoversi per periodi di tempo limitati. Se non vediamo scritto "osteria" ogni cinque metri ci viene l'horror vacui. Preferiamo scampagnate per le infinite meraviglie della nostra regione, quindi non sperare di trascinarlo a vivere all'estero o di trasformarlo in un cittadino del mondo. Siamo piante con radici troppo profonde per essere trapiantate. Poi chi se ne frega dei Caraibi? c'è Jesolo!
7. Per lui è tutto un gioco. Un veneto non prende niente sul serio, e più il contesto richiede serietà, più lui la butterà in vacca. Ti regalerà stupendi mazzi di fiori e nel bigliettino troverai disegnato un pene. Al primo appuntamento avrà le mutande di Superman. Si presenterà ai matrimoni in bermuda. Non esistono problemi che un veneto non affronti a risate, il che lo rende un compagno di vita ideale. O un insensibile. Dipende dai punti di vista. 
8. Fa tremare i pilastri del cielo. Se apriamo bocca possiamo dire tante oscenità da annichilire una statua di marmo. Non esiste una sola esclamazione, interiezione o frase che si possa trascrivere qui. Diciamo che il veneto ha un rapporto molto… uh, amichevole con le divinità, perciò è importante tu dica subito se sei credente. Ma gli bloccherai l'80% del vocabolario. 
9. Ha una famiglia incasinata. Il veneto parla poco, si esprime a gesti e appena sente odore di emozioni fugge. Quindi le nostre sono famiglie piene di segreti, deduzioni, equivoci, punti in sospeso mai chiariti. È normale non parlare coi propri parenti da anni, ed è altrettanto normale non ricordarsi perché. Se dimostri di poter fare da ponte di comunicazione, sei già indispensabile.
10. È una roccia. Può sembrare un sempliciotto o un ingenuo, ma un veneto ha meccanismi mentali inossidabili. Non farà mai debiti. Lavorerà come un ossesso e non farà mai mancare niente in casa. È il vicino di casa che non ti saluta ma ti ripara la tettoia. Qualunque sia il problema, un veneto non chiede aiuto ed è orgoglioso di risolverlo da solo. Non è facilmente approcciabile, ma può dare soddisfazioni.

lunedì 22 febbraio 2016

Si dice che se un italiano è bravo, lo è molto di più di qualsiasi altro. Sapete perchè? Perchè se uno è bravo in un altro paese tutto il paese lo sostiene, se uno è bravo ma è italiano, ha tutta l'Italia contro.

mercoledì 3 febbraio 2016

Cos'è la cultura

Se si spingono i bambini a suonare, a dipingere o in generale a dedicarsi alle arti non è perché essi un giorno possano diventare musicisti, pittori o artisti, ma per renderli capaci quel giorno di riconoscere il bello, il che implica saper riconoscere l'essenza e di conseguenza capire che per arrivarci bisogna fare uno sforzo, bisogna fare fatica. Questo li aiuterà a fermarsi prima di giudicare, a chiedere prima di rispondere e, in una parola, a rispettare le persone. Questa è la cultura.