Quando mi
chiedono che lavoro faccio, rispondo che sono imprenditore e scrittore.
Infatti, e lo
dico anche nelle prime sei righe di questo libro, come del resto si conviene a
tutti i grandi filosofi che in quanto grandi non hanno paura di scrivere in modo
chiaro che cosa vogliono dire, nella mia vita di studioso e di imprenditore
cerco sempre di coniugare la pratica di ogni giorno con la teoria. Cioè:
Pirandello diceva che la vita o la si vive o la si scrive, e io tento di fare
le due cose.
Io, che mi
definirei un filosofo dell’economia, sostengo un pensiero forte.
Che cosa
significa? Significa che non ne possiamo più di commentatori di scritti degli
altri; oggi c’è bisogno di gente che scriva in modo chiaro le proprie idee e il
proprio credo. I filosofi di un tempo lo facevano. I grandi filosofi hanno
sempre scritto in modo chiaro quello che volevano dire. Ricordo che una volta
un mio professore mi chiese di portare l’Etica di Spinoza e io mi affannai un
pomeriggio intero a compulsare i testi di storia della filosofia per trovare
che cosa volesse dire Spinoza nella sua etica; poi mi venne la pazza idea di
andare in biblioteca a vedere direttamente nel libro Etica scritto dal
filosofo, e nelle prime sei righe trovai l’esatta definizione. Se quindi provate
a leggere direttamente i loro testi, tutto questo vi apparirà chiaro
immediatamente.
In questo libro
vi porto a spasso, per così dire, per 4000 anni di storia spiegando in sostanza
quali sono le ragioni profonde di determinate scelte fatte un tempo – e
ripetute oggi – in economia e a livello di politiche sociali. Quindi c’è una
parte filosofica, dove cerco di individuare le basi del discorso che andrò a
sviluppare, le basi logiche, arrivo poi ad intersecare la filosofia delle
scelte morali con le dinamiche religiose, approfondendo sul serio tutto il
discorso biblico, per dire alla fine insieme al lettore che le ragioni di certe
scelte hanno origini morali permeate di religione, purtroppo per tutti
quest’ultima vissuta male e applicata peggio.
Non
fraintendetemi, però. Questo libro non è una critica alla Chiesa o al
cattolicesimo, ma una critica filosofica alla società e alle scelte compiute
dagli uomini in questi ultimi 4000 anni. L’ho fatto per ragionare insieme a
voi, ai lettori, e per interrogarmi sulle vere ragioni delle nostre scelte e
se, a questo punto, ci sono possibilità di un miglioramento.
La nostra vita tra le persone sembra essere un percorso
logico descrivibile come una tensione tra risonanze concettuali, echi di
memorie, vibrazioni di pensiero del genere più vario, colori e percorsi di luce
e di buio. Lo studio delle valutazioni morali e tra queste del giudizio ci apre
la mente della ricerca speculativa e scientifica a molte nuove porte attraverso
cui è possibile raggiungere una migliore conoscenza delle nostre scelte.
Oggi giungono a noi sprazzi di sapere, di informazione e
anche alla fine di verità contaminati dall'inquinamento filosofico delle
generazioni passate e anche da quello della mente razionalistica che pure deve
essere usata in economia.
Ho cercato di spiegare - attraverso 4000 anni di storia -
come sono giunte a noi informazioni di pensieri e impressioni appartenenti a
mondi apparentemente lontani o irraggiungibili perché oramai distrutti, ma che
restano e sono effettivamente rimasti a noi collegati intimamente per mezzo di
analogie e di risonanze per le quali microcosmo e macrocosmo si compenetrano e
convivono, pulsano e soprattutto vibrano nella dinamica di quell'unico respiro
che unifica la più piccola delle particelle subnucleari al più grande dei corpi
celesti.
Frequenze morali e informazioni economiche. Molto spesso
la loro interferenza produce esiti scontati, altre volte veri disastri e, se
vale l’etimologia citata da George Steiner, dove “disastro” significa “pioggia
di stelle”, in questo caso si tratta di stelle pesantissime e non gestibili.
Un’inconciliabilità di base si intravede subito; parliamo
infatti di morale, una cosa che trae le sue origini – come tutto da noi in
Europa - dal pensiero greco e che estende i suoi significati più propri al
comportamento dell’uomo in mezzo agli altri e di un’altra materia, l’economia,
appunto, che garantisce il suo risultato sulla base dell’analisi di cicli di
comportamento soprattutto collettivo delle società al fine di ricavarne una
previsione e di asimmetrie informative la cui presenza non solo non viene
dichiarata dai protagonisti dei mercati, ma viene taciuta per utilizzarle in
anticipo su tutti gli altri.
In
questo libro dichiaro che c’è presenza di una teologia biblica e della recente
letteratura teologica anche non italiana, oltre ad essermi liberato
dall’assunzione più o meno esplicita di numerose premesse filosoficamente
erronee o perlomeno fantasiose, cercando di non negare o perlomeno di non
svuotare di significato almeno una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica.
Ho
cercato di annullare una relativa povertà
di dati autenticamente
teologici, e di non utilizzare la tecnica di accumulare citazioni da tutto lo
scibile umano la quale, oltre al rischio di distorcerne il senso reale ai
propri fini in quanto esse fanno parte di assetti logici a volte del tutto
diversi, non
corrisponde affatto ad
una metodologia seria che faccia capire.
E’
facile attribuire le speculazioni contenute in questo libro ed elencare tutte
le matrici che sono di comune conoscenza agli addetti ai lavori, come il
platonismo, il razionalismo gnostico, lo scientismo, l’eclettismo e tutte le
altre, ma quello che comunque desidero che domini è un
razionalismo convinto che
vuole discutere di realtà.
Nel
contesto di notevolissima confusione sulla religione e la Chiesa tipica della
cultura mediatica contemporanea, non vorrei contribuire ad aumentare
tale confusione.
Fare il bene e fare il proprio interesse possono essere
due cose conciliabili tra loro, ecco il problema alla base di questo scritto.
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Ma vorrei dire
un’ultima parola sulla realtà di oggi, un argomento finale cui il libro nei
suoi ultimi capitoli, dopo aver spiegato le ragioni storiche, tenta di dare una
risposta.
L’Italia è un
paese in recessione, inutile negarlo. Ma al di là della recessione, che
tecnicamente significa una certa cosa, l’Italia è in crisi globale, e questo lo
sanno tutti, anche coloro che non hanno la minima idea di che cosa significhi
“crisi”, ad esempio coloro che non hanno mai avuto nulla…mi ricordo che durante
un mio recente viaggio in Africa, quando chiesi a un abitante del luogo se
fossero in crisi mi sentii rispondere che loro non sono mai stati in crisi
perché la differenza tra sottozero e zero è trascurabile.
In Italia le
aziende chiudono e bisogna dare la colpa a qualcuno. Allora la colpa la diamo
facilmente della crisi economica internazionale, e quando ho detto questo
sapete bene che non ho detto nulla. Tutto nacque intorno al 2008 con la crisi
americana dei “subprime”. Da quel momento in poi banche e finanziarie sono
crollate e hanno creato un effetto domino in tutto il globo. Tutto vero. Eppure
in Italia c’è dell’altro.
Ma, voi direte: perché questo signore parla di aziende solo? Perché sono le
aziende, cioè l’iniziativa privata, che sostengono l’economia di un paese, e
questa è una cosa che nessuno, né a dx né a sx, si metterebbe in testa di
contraddire; poi ci sono i servizi, importantissimi, del resto, e mi chiedo qui
con voi dove pensa di arrivare uno Stato che ha inventato i cosiddetti
contributi figurativi, cioè una cosa che lo Stato dice che c’è e invece non
c’è. Cosa vuol dire? Vuol dire che se io ho un dipendente e quello riceve in
busta 1200 euro a me imprenditore me ne escono 2600, mentre per lo Stato la
cosa è diversa perché i contributi sono figurativi, quindi figurano di esserci,
ma in realtà non ci sono.
Dove sarà il problema? Attendiamo che questa gente vada in pensione e poi
mi saprete dire… e abbiamo poco da giustificarci con il fatto che esistono
leggi degli anni 80, che quando uno fa causa allo Stato lo Stato vince sempre,
che c’è gente che è andata in pensione a 34 anni sfruttando leggi di anni fa,
che il PIL non va, che la Germania fa le cose a spese degli altri, che è
aumentata la disoccupazione ma che c’è in giro gente che non vuole un lavoro ma
uno stipendio, che la giustizia è lenta, che le cose non vanno, perché la colpa
non è nostra ma noi abbiamo questa situazione che stiamo vivendo e che dobbiamo
gestire.
Mancano denari, manca liquidità.
La mancanza improvvisa di liquidità è strettamente legata ai problemi delle
banche. Le banche sentono la crisi e non finanziano più le imprese, le quali si
trovano improvvisamente senza liquidità per pagare fornitori e stipendi e dopo
un po’ sono costrette a chiudere. C’è poco da fare: se le banche non pagano, le
aziende chiudono. Fine della storia.
La pressione fiscale è a dir poco asfissiante. Qualcuno ha calcolato – tra
imposte, tasse dirette e indirette e balzelli vari – una pressione fiscale che
supera l’80% IVA compresa.
Chi non ha mai provato ad avviare un’attività in proprio, non può capire. Insomma, senza dilungarmi troppo, la pressione
fiscale asfissiante e la burocrazia kafkiana rappresentano sicuramente una
grossa zavorra che impedisce la crescita.
E poi dobbiamo
considerare le carenze infrastrutturali, che non sono solo le difficoltà di
aprire un’azienda in zone dove non arrivano nemmeno i treni, ma le carenze
infrastrutturali mentali, che impediscono spesso ai più giovani di pensare, e
questo è il terreno più pericoloso in cui avventurarsi, perché uccidere
lentamente il nostro futuro è un crimine contro l’umanità e il male, quello
vero.
Fino
ad oggi il male, quando lo vediamo nell'oppressione, nello sfruttamento e
nell'annientamento dell'uomo da parte dell'uomo, è perdurante in maniera
costante. Epoche si sono avvicendate a epoche: la società antica degli schiavi,
la società feudale del Medioevo, la società mercantilistico-assolutistica
dell'evo moderno, il capitalismo e il socialismo dell'età contemporanea, infine
l’indifferenza generalizzata che caratterizza l’età presente.
Ma il male non è passato, ha solo cambiato pelle e,
soprattutto, ha assunto dimensioni più colossali. L'umanità è esposta a
un'esperienza colossale del male. Tanto più stupisce perciò il fatto che,
malgrado tale dura esperienza, di cui ognuno può venire a conoscenza, si dissimuli
continuamente il carattere fondamentale del male.
Il male di oggi è la supponente ignoranza. Presso le
istituzioni politiche si continua a dire ad alta voce che la ricerca e prima
ancora la scuola sono elementi fondamentali per lo sviluppo della società, ma
sotto sotto non ci si crede affatto e non si insiste anche a livello politico
per un rifinanziamento della scuola o per aumentare di vari punti percentuali
del PIL i fondi destinati alla ricerca, oggi risibili specialmente in alcuni
paesi europei tra cui primeggia l’Italia. Ma questa è solo una piccola parte
del problema. Infatti, come si fa a parlare di ricerca e di un suo
finanziamento se non ci sono ricercatori perché non ci sono più studenti?
Certo, la scolarizzazione e l’università di massa sono state conquiste
assolutamente essenziali per uscire dall’analfabetismo del secondo dopoguerra e
dalla stagnazione presessantottina delle università baronali, ma oggi? La
situazione è cambiata nel senso che tutti ormai vanno o sono andati a scuola e
per questo hanno vissuto una stagione di progressivo annacquamento dei
contenuti, per non parlare dell’altrettanto progressivo depauperamento della
preparazione del corpo insegnante.
Se una volta gli studi per essere ritenuti seri dovevano
essere anche (inutilmente) severi, oggi la serietà non è più di casa in nome
del politically correct, in nome di
lugubri disegni portati avanti da solerti amministratori che fanno apparire
sulle strade ignobili cartelloni in cui si esortano i giovanissimi a
frequentare solo le scuole tecniche perché alla fine troveranno un lavoro,
scambiando di fatto la fiducia dei più giovani in voti alle elezioni dati dai
loro genitori, e in nome di una colpa data una volta per tutte allo straniero
che arriverebbe a invadere i paesi europei.
La consapevolezza invece che, quella sì, non dovrebbe farvi
dormire la notte è che siamo tutti schiavi delle informazioni che altri
vogliono dare in virtù di un nuovo ordine mondiale che tutti noi dobbiamo
trangugiare sotto la tortura del debito; pensateci: chi è indebitato non fa la
rivoluzione, non pensa alle prospettive e uccide il futuro che ha in sé, la
scuola è mandata proprio per questo al massacro e purtroppo per tutti la
formazione delle coscienze è diventata un’optional di chi scopre che la cosa è
davvero importante e se la fa sa solo, ma non va bene perché solo la
condivisione genera crescita.
L’educazione è la struttura di base della società nella
sua forma più pura. Alcuni di noi andavano a scuola per cambiare il mondo,
negli anni 90 si andava a scuola per trovare lavoro e oggi la scuola dell’obbligo
è un palliativo perché i ragazzi non stiano troppo davanti ai videogiochi.
In questo momento la sovranità e l’indipendenza del
Paese sono al centro del dibattito. La grande finanza è sporca per definizione,
se intendiamo con il termine “sporco” tutto quello che non ha regole condivise
non solo dalle classi abbienti della finanza mondiale, appunto, ma anche dalle
classi inferiori.
La grande finanza è in mano a funzionari e manager
delle agenzie di rating, e ne cito due fra tutte, Fitch e Standard & Poor’s.
Queste agenzie sono state accusate di manipolazione del mercato per aver
fornito false informazioni sull’affidabilità dell’Italia come creditore. Lo
scopo fu una destabilizzazione dell’Italia sui mercati finanziari deprezzando i
titoli di Stato. Tutto questo per imporre il mantenimento dell’Italia sotto il
dominio finanziario.
E’ stata scoperta un’e-mail interna di S&P
dell’agosto del 2011, che svela che già tre mesi prima delle dimissioni di
Berlusconi, prima ancora della lettera con cui BCE dettò la politica di
austerità che l’Italia avrebbe dovuto attuare per avere il suo supporto,
l’agenzia sapeva del cambio di governo in Italia. In quella lettera si
consigliava agli investitori di “prendere tempo” perché in Italia c’era la
possibilità che venisse imposto un governo tecnico perché Berlusconi era sotto
pressione da ogni parte. Questi sono delitti contro la personalità dello Stato.
Ma poi a noi italiani basta andare alla partita, e tutto finisce nel senso che
tutto ricomincia e nulla cambia veramente.
Un nuovo modo di intendere l’economia, quindi, salverà
il Paese? No, non può farlo. Come non possono salvare il paese i magistrati, o
per il loro colore politico, che qualunque esso sia, mal si intona con la toga,
o per il fatto che la separazione dei poteri è come una chemioterapia che, pur
necessaria, porta con sé tremendi effetti collaterali, o per il fatto che
comunque qualunque processo contro lo Stato finisce come vuole lo Stato.
Il Paese si salverà solo se ci sarà una ripresa di
politiche economiche volte all’interesse nazionale colpendo, Costituzione e Codice
Penale alla mano, quello strapotere finanziario costituito che ci ha portato in
questo incubo, recuperando il maltolto con strumenti giuridici straordinari.
Cosa sono le politiche economiche volte all’interesse
nazionale? Paradossalmente, ed è uno dei temi del mio libro, esse non hanno
quasi nulla a che fare, almeno in un primo momento fondativo, con la politica o
l’economia, ma con i desideri delle persone, con la loro visione del futuro,
con le loro ambizioni, con le loro ansie di fare e di costruire, che oggi
tanti, forse troppi, stanno cercando di distruggere tappando i punti nevralgici
dell’applicazione della Costituzione con il complice assordante silenzio
mediatico e l’ostruzionismo del governo che si schiera con i nemici del Paese.
Non voglio fare il futurologo e quindi non vi dico quali sono le
soluzioni ai problemi uno per uno, anche perché una prospettiva di soluzione la
potete leggere nei capitoli finali del mio libro Economia e Indifferenza.
Voglio semplicemente dirvi, dal mio punto di vista, che oggi mancano al
mondo almeno due cose: l’umiltà e la fame, la fame di conoscenza, di certezze,
di umanità.