lunedì 9 marzo 2015

La programmazione della paura di vincere

Ma perché avete di queste paure? Perché vi hanno insegnato ad averle; siete stati programmati così.
Come sapete, quando avevate tre o quattro anni non eravate così incerti come oggi. Anzi: ve ne andavate in giro a scoprire cose sempre nuove. Eravate pieni di gioia e il vostro spirito era avventuroso; in definitiva amavate la vita, e senza alcuna condizione.
Era quello il segreto della felicità e voi lo conoscevate bene, anche se non razionalmente. Ma da una certa età in poi siete cresciuti o, meglio, vi hanno detto che era ora di crescere, quindi giù con frasi del tipo “è ora di crescere”, “questo è da bambinetti”, “non è più il momento”; vi dicevano che dovevate camminare, parlare e comportarvi come i grandi, altrimenti c’era il sospetto di non essere né accettati né amati. E così avete iniziato a fare quello che vi dicevano per la paura di non essere più amati e avete cominciato a provare un senso di inadeguatezza.
Ci siamo? Volete ancora avere paura? O tutto questo adesso vi fa schifo?
Il filosofo greco Platone diceva che ci sono alcune idee che di fatto sono da definirsi “pericolose” perché ci vengono inculcate dalle persone di cui ci fidiamo, magari perché questo è successo quando eravamo giovani, ingenui o in un periodo di particolare vulnerabilità. Ma la cosa grave sta nel fatto che queste idee in seguito possono esercitare influenze malsane e che poi noi ci ostiniamo a difenderle perché erroneamente crediamo che siano nostre, che ci appartengano. Invece sono delle “camicie di forza” mentali.
Bisognerebbe essere bravi a identificare presto tali idee e farle riaffiorare dai recessi del nostro “Io” proprio lì dove se ne stanno nascoste, e buttarle fuori di noi. 
Per fare questo c’è un solo metodo che si chiama dialogo. Tu devi sapere, insomma, se una cosa è tua oppure non lo è. Di solito non avete grossi problemi a capire quando state per sbagliare, ma non desistite dal farlo perché non siete capaci di trovare una giustificazione etica al riguardo e avete quindi spesso bisogno di nuovi modelli di pensiero da imitare. Focalizzarsi quindi sul momento presente e guardare al futuro, ma attenzione che focalizzarsi troppo sul presente e programmare troppo il futuro è l’unico modo per non cambiare proprio niente e restare nel passato.
 Se vi concentrate sulle cose brutte diventate brutti a vostra volta, ve l’ho già detto. Bisogna capire e imparare ad apprezzare il bene, sguazzarci dentro come fanno i bambini nelle piscinette del giardino.
Prima il primo passo è fatto e prima arriverete ad avvertire quella nuova sensazione, quel momento fantastico creato e sostenuto dalla consapevolezza di aver iniziato. Cercate di mantenere viva quella sensazione per innescare irreversibilmente il cambiamento.
Sì, perché una volta iniziato a cambiare non c’è scampo, si può solo continuare. Allora chi non prova fallisce in partenza. Voglio chiarire il significato di “provare”. Io ho un solo hobby: suonare il violino. E, come del resto per tutto, compresi i falsari di banconote o l’apprendimento delle lingue straniere, per arrivare a suonare bene il violino bisogna ripetere ripetere ripetere. Ora: ripetere che cosa? Ma i passaggi più difficili, naturalmente. E solo quelli, visto che il resto viene di già. Se tu suoni bene un determinato brano ma ti fermi sempre allo stesso punto che non ti viene devi studiare solo quel punto e tralasciare tutto il resto fino a che non lo padroneggerai. Lo stesso è per i vostri tentativi di miglioramento. Individuare i punti deboli, che di solito coincidono con i punti chiave, e lavorare solo su quelli.
Pensate, se può aiutarvi, a colui che è stato probabilmente il più famoso e conosciuto retore greco, Demostene, che quando era bambino era talmente balbuziente da far disperare i suoi genitori che non credevano fosse un bambino normale. Di suo aggiunse che da grande voleva fare l’oratore. Sarebbe stato come se il piccolo Dracula avesse detto al papà che da grande voleva fare il primario del Laboratorio analisi dell’ospedale. Demostene  stesso riferisce di corse mattutine in riva al mare per aumentare la sua capacità polmonare (all’epoca i microfoni non erano disponibili!) e dei sassolini che metteva in bocca per migliorare l’eloquio.
 Le paure che avete derivano dal fatto che volete essere amati e accettati, e per farlo seguite delle avvertenze di comportamento. Ogni tanto penso che tutto questo va bene, perché si chiama civiltà, ma spesso penso anche che bisognerebbe avere il coraggio – e anche un po’ di incoscienza, diciamolo chiaro – di dare un bel calcio a tutto, per romperlo e poi ricostruirlo meglio.
Il problema degli adulti è l’indispensabilità. Sapete tutti che una volta Winston Churchill disse che i cimiteri sono pieni di persone indispensabili e che qualche manager colto ha tradotto anni dopo dicendo che l’indispensabilità del singolo individuo è il difetto del sistema. Provate a prendere un catino e a riempirlo di acqua fin quasi all’orlo. Poi inserite la vostra mano dall’alto e toglietela. Fatelo due o più volte e vedrete che l’effetto provocato da questi movimenti sull’acqua sottostante è sempre lo stesso e che soprattutto il tempo di riassestamento è sempre uguale. Ecco: è questo l’effetto che la vostra mancanza di applicazione costante al cambiamento provoca: qualche ora, qualche giorno, e poi tutto torna come prima.
È del tutto naturale che la paura condizioni in negativo le vostre scelte. Questo è il problema più grave. Infatti, molti di voi staranno già pensando che sarebbe bello estendere al lavoro, per esempio, la passione; oppure anche quell’ossessione spiegata da tutte quelle piccole cose come l’arrivare puntuali o addirittura prima degli altri, essere ed esprimersi in modo preciso oltre misura, il prevedere gli effetti di una cura maniacale per il particolare, che rende vincenti.
Ma come fare se il vostro lavoro è una schifezza?
Purtroppo per voi è solo una questione di tono. Partiamo dal presupposto che fare una cosa bene occupa lo stesso tempo e lo stesso impegno che farla male; cambia solo il risultato. Ma non potete avere scuse, nel senso che non è vero che chi lavora svogliatamente poi quando si dedica ad altre cose, cioè alle cose che veramente lo interessano, le faccia meglio. È noto a tutti che quando un giovane non va bene a scuola i genitori dicono che se non viene promosso andrà a lavorare; probabilmente per fare un lavoro male, come la scuola. Pensate che Warren Buffett, il miliardario in dollari, disse una volta che se una persona accetta nella vita di fare un lavoro che non gli piace in attesa di uno che gli piace è come non fare sesso aspettando la vecchiaia.
Se la scuola non va, un lavoro che cosa ha di diverso? Nulla. È vero che se prendiamo lavori tra i più umili, come il posteggiatore o altro, c’è chi fa bene o male il suo lavoro ma non possono esistere “grandi” posteggiatori, è altrettanto vero che ogni lavoro è il più facile se fatto male.
Attenzione: nessuna via di mezzo è concessa a chi vuol essere vincente. E chi è vincente? Chi sta bene.
 Non usare mezze misure di solito terrorizza. Uno dei motivi è che si ha paura di ricevere del male o molto più di rado, di farne.

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