Ma perché avete di
queste paure? Perché vi hanno insegnato ad averle; siete stati programmati
così.
Come sapete, quando
avevate tre o quattro anni non eravate così incerti come oggi. Anzi: ve ne
andavate in giro a scoprire cose sempre nuove. Eravate pieni di gioia e il
vostro spirito era avventuroso; in definitiva amavate la vita, e senza alcuna
condizione.
Era quello il segreto
della felicità e voi lo conoscevate bene, anche se non razionalmente. Ma da una
certa età in poi siete cresciuti o, meglio, vi hanno detto che era ora di
crescere, quindi giù con frasi del tipo “è ora di crescere”, “questo è da
bambinetti”, “non è più il momento”; vi dicevano che dovevate camminare,
parlare e comportarvi come i grandi, altrimenti c’era il sospetto di non essere
né accettati né amati. E così avete iniziato a fare quello che vi dicevano per
la paura di non essere più amati e avete cominciato a provare un senso di
inadeguatezza.
Ci siamo? Volete
ancora avere paura? O tutto questo adesso vi fa schifo?
Il filosofo greco
Platone diceva che ci sono alcune idee che di fatto sono da definirsi
“pericolose” perché ci vengono inculcate dalle persone di cui ci fidiamo,
magari perché questo è successo quando eravamo giovani, ingenui o in un periodo
di particolare vulnerabilità. Ma la cosa grave sta
nel fatto che queste idee in seguito possono esercitare influenze malsane e che
poi noi ci ostiniamo a difenderle perché erroneamente crediamo che siano
nostre, che ci appartengano. Invece sono delle “camicie di forza” mentali.
Bisognerebbe essere
bravi a identificare presto tali idee e farle riaffiorare dai recessi del
nostro “Io” proprio lì dove se ne stanno nascoste, e buttarle fuori di noi.
Per fare questo c’è un
solo metodo che si chiama dialogo. Tu devi sapere, insomma, se una cosa è tua
oppure non lo è. Di solito non avete
grossi problemi a capire quando state per sbagliare, ma non desistite dal farlo
perché non siete capaci di trovare una giustificazione etica al riguardo e
avete quindi spesso bisogno di nuovi modelli di pensiero da imitare. Focalizzarsi quindi
sul momento presente e guardare al futuro, ma attenzione che focalizzarsi
troppo sul presente e programmare troppo il futuro è l’unico modo per non
cambiare proprio niente e restare nel passato.
Se vi concentrate
sulle cose brutte diventate brutti a vostra volta, ve l’ho già detto. Bisogna
capire e imparare ad apprezzare il bene, sguazzarci dentro come fanno i bambini
nelle piscinette del giardino.
Prima il primo passo è
fatto e prima arriverete ad avvertire quella nuova sensazione, quel momento
fantastico creato e sostenuto dalla consapevolezza di aver iniziato. Cercate di
mantenere viva quella sensazione per innescare irreversibilmente il
cambiamento.
Sì, perché una volta
iniziato a cambiare non c’è scampo, si può solo continuare. Allora chi non prova
fallisce in partenza. Voglio chiarire il significato di “provare”. Io ho un
solo hobby: suonare il violino. E, come del resto per tutto, compresi i falsari
di banconote o l’apprendimento delle lingue straniere, per arrivare a suonare
bene il violino bisogna ripetere ripetere ripetere. Ora: ripetere che cosa? Ma
i passaggi più difficili, naturalmente. E solo quelli, visto che il resto viene
di già. Se tu suoni bene un determinato brano ma ti fermi sempre allo stesso
punto che non ti viene devi studiare solo quel punto e tralasciare tutto il resto
fino a che non lo padroneggerai. Lo stesso è per i
vostri tentativi di miglioramento. Individuare i punti deboli, che di solito
coincidono con i punti chiave, e lavorare solo su quelli.
Pensate, se può
aiutarvi, a colui che è stato probabilmente il più famoso e conosciuto retore
greco, Demostene, che quando era bambino era talmente balbuziente da far
disperare i suoi genitori che non credevano fosse un bambino normale. Di suo
aggiunse che da grande voleva fare l’oratore. Sarebbe stato come se il piccolo Dracula
avesse detto al papà che da grande voleva fare il primario del Laboratorio
analisi dell’ospedale. Demostene stesso
riferisce di corse mattutine in riva al mare per aumentare la sua capacità
polmonare (all’epoca i microfoni non erano disponibili!) e dei sassolini che
metteva in bocca per migliorare l’eloquio.
Le paure che avete
derivano dal fatto che volete essere amati e accettati, e per farlo seguite
delle avvertenze di comportamento. Ogni tanto penso che tutto questo va bene,
perché si chiama civiltà, ma spesso penso anche che bisognerebbe avere il
coraggio – e anche un po’ di incoscienza, diciamolo chiaro – di dare un bel
calcio a tutto, per romperlo e poi ricostruirlo meglio.
Il problema degli
adulti è l’indispensabilità. Sapete tutti che una volta Winston Churchill disse
che i cimiteri sono pieni di persone indispensabili e che qualche manager colto
ha tradotto anni dopo dicendo che l’indispensabilità del singolo individuo è il
difetto del sistema. Provate a prendere un catino e a riempirlo di acqua fin
quasi all’orlo. Poi inserite la vostra mano dall’alto e toglietela. Fatelo due
o più volte e vedrete che l’effetto provocato da questi movimenti sull’acqua
sottostante è sempre lo stesso e che soprattutto il tempo di riassestamento è
sempre uguale. Ecco: è questo l’effetto che la vostra mancanza di applicazione
costante al cambiamento provoca: qualche ora, qualche giorno, e poi tutto torna
come prima.
È del tutto naturale
che la paura condizioni in negativo le vostre scelte. Questo è il problema più
grave. Infatti, molti di voi staranno già pensando che sarebbe bello estendere
al lavoro, per esempio, la passione; oppure anche quell’ossessione spiegata da
tutte quelle piccole cose come l’arrivare puntuali o addirittura prima degli
altri, essere ed esprimersi in modo preciso oltre misura, il prevedere gli
effetti di una cura maniacale per il particolare, che rende vincenti.
Ma come fare se il
vostro lavoro è una schifezza?
Purtroppo per voi è
solo una questione di tono. Partiamo dal presupposto che fare una cosa bene
occupa lo stesso tempo e lo stesso impegno che farla male; cambia solo il
risultato. Ma non potete avere scuse, nel senso che non è vero che chi lavora
svogliatamente poi quando si dedica ad altre cose, cioè alle cose che veramente
lo interessano, le faccia meglio. È noto a tutti che quando un giovane non va
bene a scuola i genitori dicono che se non viene promosso andrà a lavorare;
probabilmente per fare un lavoro male, come la scuola. Pensate che Warren Buffett, il miliardario in dollari, disse una volta che se una persona accetta nella vita di fare un lavoro che non gli piace in attesa di uno che gli piace è come non fare sesso aspettando la vecchiaia.
Se la scuola non va,
un lavoro che cosa ha di diverso? Nulla. È vero che se prendiamo lavori tra i
più umili, come il posteggiatore o altro, c’è chi fa bene o male il suo lavoro
ma non possono esistere “grandi” posteggiatori, è altrettanto vero che ogni
lavoro è il più facile se fatto male.
Attenzione: nessuna via di mezzo è concessa a chi vuol essere vincente. E chi è vincente? Chi
sta bene.
Non usare mezze misure
di solito terrorizza. Uno dei motivi è che si ha paura di ricevere del male o
molto più di rado, di farne.
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